Si sta stretti come sardine nell’aula che non è una delle più piccole del palazzo di giustizia. La curiosità è contagiosa, il pubblico è vasto potendo contare su un buon numero di cancellieri, assistenti e magistrati, tutti formalmente in orario di lavoro ma qui ad assistere allo “spettacolo”: Belen Rodriguez testimone della difesa di Fabrizio Corona nel processo in cui l’imprenditore fotografico più famoso d’Italia risponde di tanti soldi incassati in nero e poi distribuiti tra controsoffitti e cassette di sicurezza in Austria.
Il corridoio che conduce all’ingresso principale dell’aula è transennato per arginare la folla di cameraman, un carabiniere invita a entrare dal retro “perché questo è l’ingresso dei vip, l’abbiamo inventato oggi”.
Belen utilizza la panca vicino alla porta come sala trucco con la sorella che l’aiuta che in origine dovrebbe deporre pure lei, ma poi la difesa vi rinuncia.
Il personale giudiziario che dovrebbe stare in ufficio è qui “al cinema”. Materia di riflessione vi sarebbe per i sindacati del settore, in testa l’Anm gran fustigatrice dei costumi nazionali e custode di moralità, sempre bravi a pontificare sulla carenza di organici, che impedirebbe alla giustizia di funzionare. Oggi si lavora poco e male “per colpa di Belen”, che abbassa la produttività del tempio della farsa di Mani pulite ma avrà alzato di sicuro il testosterone (frank cimini)