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Le carte che assolvono Penati e distruggono i pm

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Quelle che potete leggere qui sono le motivazioni alla sentenza di assoluzione nei confronti di Filippo Penati e altri 10 imputati accusati di corruzione e finanziamento illecito ai partiti per aver dato vita al ‘Sistema Sesto‘, intreccio di malaffare nella città più rossa della Lombardia.

Capita di rado che i giudici distruggano con tanto vigore e, a tratti, anche greve ironia, le tesi della Procura.  Il Tribunale (presidente Giuseppe Airò)  definisce “lacunose e superficiali” le indagini rispetto all’accusa a Penati di avere ricevuto finanziamenti illeciti dall’imprenditore Piero Di Caterina per il Pci prima e per i Democratici di Sinistra poi.

Un errore degli inquirenti, coordinati d aWalter Mapelli e Franca Macchia, sarebbe stato, tra i tanti, quello di essersi limitati a confrontare i flussi finanziari rilevati sui conti dell’ex presidente della Provincia e dei familiari, ma di “non avere fatto alcuna verifica, ad esempio, sui contratti di locazione relativi agli immobili di loro proprieta’, benche’ effettivamente sui conti risultassero versati anche assegni bancari emessi dagli inquilini, ne’ sui redditi che Penati aveva percepito negli anni da Assigest s.n.c. (di cui Penati era socio, ndr”). “Parimenti superficiali – incalzano i giudici – sono state le indagini patrimoniali, se hanno portato gli inquirenti a ritenere sospetti gli acquisti effettuati nel 2009 e nel 2011 dalla moglie dell’imputato di 2 immobili pagati dalla signora Dileo con assegni circolari, senza verificare la provvista di quei titoli e, quindi, tralasciando, ad esempio, di accertare che Penati e la moglie avevano banalmente stipulato un mutuo fondiario per acquistare una casa per il figlio”. “Originale” è poi la teoria secondo la quale le rogatorie estere avrebbero dato esito negativo per la “scaltrezza” di Penati. “Non v’e’ chi non veda come un simile ragionamento sia estraneo al nostro sistema penale e costituzionale, perche’ in contrasto col principio della presunzione d’innocenza”.

Anche sulla presunta tangente incassata da Penati per l’affare Milano Serravalle con la vendita delle quote alle società del gruppo Gavio sembrano lapidari: “Non e’ stata acquisita alcuna prova orale e/o documentale che dimostrasse la fondatezza della tesi accusatoria e cioe’ che Penati si fosse comunque ingerito nella gestione dell’appalto per l’ampliamento dell’ A/7. (…) Tutte le decisioni furono assunte in totale autonomia dagli organi amministrativi di Milano Serravalle senza alcuna interferenza da parte della Provincia di Milano e del suo massimo rappresentante”. Con tono beffardo, bollano addirittura come “ricerca della tangente”, quasi a sottolinearne i connotati ossessivi, le strenue indagini che si sono protratte per anni fino a far affogare nella prescrizione una parte delle accuse al politico (che peraltro non ci ha rinunciato, dopo qualche illusorio proclama). Infine, quasi scherniscono gli inquirenti su  ‘Fare Metropoli’, l’associazione culturale che in realtà sarebbe servita a raccogliere denaro da banche e imprenditori per la politica.  Il finanziamento ricevuto dall’associazione fu “certamente legittimo” anche alla luce della documentazione indicata dai giudici “evidentemente sfuggita sia alla Guardia di Finanza che ai pm”. (manuela d’alessandro)

 


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